lunedì 18 agosto 2014

Perché il debito pubblico italiano è così alto?

La dimensione del debito pubblico italiano è spesso oggetto di lunghe discussioni, ma la sua origine è, di solito, poco conosciuta. Io stesso, quando iniziai a studiare l'argomento (più di due anni fa), mi feci un'idea completamente errata riguardo ai veri motivi della sua continua crescita.
L'analisi di seguito proposta ha come obiettivo quello di illustrare la principale causa dell'aumento del debito pubblico dagli anni ottanta, fino ai primi anni novanta. La fase successiva, quella del periodo ante e post crisi 2007 è stata già discussa qui.
Nei due grafici successivi si mostra la crescita del debito pubblico nel periodo compreso tra il 1970 e il 2012. Il primo grafico rappresenta il debito in milioni di euro. Questo tipo di visione è per lo più sensazionalistica, ed è usata molto spesso a sproposito, per alludere agli sprechi dell'amministrazione pubblica. Mentre nel secondo, troviamo il rapporto tra debito pubblico e PIL, un valore più funzionale alle analisi economiche. Infatti, nonostante il debito vada tenuto sotto controllo non deve per forza scendere. E' sufficiente che non cresca più del PIL. Questo perché il debito pubblico (e il debito in generale) non è per forza una cosa negativa, è solo un strumento, e la sua sostenibilità dipende anche dai motivi per cui viene contratto. Poi, se lo Stato ha un debito, i cittadini hanno un credito e un guadagno che deriva dagli interessi. Il 67% del debito pubblico è nelle mani degli italiani (Fonte: Banca d'Italia).


Noterete, sia nel primo grafico che nel secondo, che la maggior crescita del debito pubblico avviene nel periodo che va dal 1981 fino agli inizi degli anni novanta.

Prima di arrivare alla sostanza del problema, che è stato il divorzio fra Ministero del Tesoro e Banca d'Italia, conviene anticipare che durante gli anni settanta, e fino ai primi anni ottanta, il mondo sperimentò un'elevato tasso d'inflazione (vedi dati OCSE). Anche sulle reali motivazioni di questo fenomeno ci sarebbe da discutere. In ogni caso, se osservate il grafico sottostante potreste avere un'interessante intuizione a proposito della correlazione fra l'nflazione e il prezzo del petrolio.


Nel 1980, anno precedente il Divorzio l'inflazione italiana aveva raggiunto il suo apice, 21,1%. Fu in quel contesto che l'allora Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta prese una decisione storica, che è così raccontata in un'intervista rilasciata al Sole24Ore (qui il testo integrale).

"Ero al ministero del Tesoro da poco piu' di tre mesi, di cui due quasi integralmente occupati a rimettere in movimento il meccanismo delle nomine bancarie -nomine da ministro della Repubblica, senza condiscendenze alle pressioni dei partiti della maggioranza - quando dovetti valutare, con senso di urgenza, che la crisi del secondo shock petrolifero imponeva di essere affrontata con decisioni politiche mai tentate prima di allora. La propensione al risparmio finanziario degli italiani si stava proprio in quei mesi abbassando paurosamente e il valore dei cespiti reali - case e azioni- aumentava a un tasso del cento per cento all' anno...
...
I miei consulenti legali mi diedero un parere favorevole sulla mia esclusiva competenza, come ministro del Tesoro, di ridefinire i termini delle disposizioni date alla Banca d' Italia circa le modalita' dei suoi interventi sul mercato e il 12 febbraio 1981 scrissi la lettera che avrebbe portato nel luglio dello stesso anno al "divorzio".

Pertanto, il Ministro scrisse all'allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi comunicandogli che avrebbe posto fine all'obbligo, da parte della nostra banca centrale, di acquistare i titoli di Stato che il Ministero non riusciva a vendere sul mercato al momento della loro emissione. Da quel momento in poi, i titoli pubblici italiani sarebbero stati piazzati in regime di libera concorrenza (insieme a tutti gli altri, pubblici e privati). E' chiaro pertanto che per poter essere venduti il loro rendimento (tasso d'interesse) avrebbe dovuto essere conveniente per gli investitori, e che il costo di tale operazione avrebbe rappresentato un maggior onere per lo Stato.

Quello che l'allora Ministro intendeva ottenere con il Divorzio era una stretta alla spesa pubblica, e una progressiva diminuzione del tasso d'inflazione (cosa che, tutto sommato, avvenne).

Evitando di discutere sulla bontà o meno di questa misura, che in quel contesto storico poteva anche avere un senso, è doveroso osservare come la famosa lettera, non impediva affatto alla Banca d'Italia di acquistare i titoli di stato in eccesso ma, come dice esattamente il testo: "Tale riesame dovrebbe portare ad un sistema in cui l'intervento della Banca d'Italia all'asta dei BOT sia una libera decisione della Banca stessa". Il testo integrale lo trovate qui.

Passando alle conseguenze, sebbene l'inflazione progressivamente dimnuì, non si può certo negare l'impatto che il Divorzio ebbe sull'incremento del debito pubblico, come riconosciuto dallo stesso Andreatta:

"Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l' escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale".

I tassi d'interesse reali (cioè al netto dell'inflazione) come mostra il grafico seguente, dopo essere rimasti negativi per gran parte degli anni settanta, schizzarono verso l'alto. La parte finale di quest'impennata, avvenuta nel 1992 è dovuta agli sforzi, vani, di rimanere agganciati al Sistema Monetario Europeo, ma questo è un altro discorso.


Al contrario di quanto si è comunemente portati a pensare, a partire dagli anni ottanta, i governi tennero sotto controllo le uscite, aumentando progressivamente l'avanzo primario (la differenza tra le entrate e la uscite del bilancio pubblico), nonostante dal punto di vista qualitativo la spesa fosse inquinata comunque dagli sprechi, dalla corruzione e dal clientelismo (più o meno come oggi). Tuttavia, il deficit pubblico (che somma all'avanzo primario anche la spesa per interessi) rimase comunque alto, fino all'entrata in vigore del Patto di Stabilità e Crescita Europeo (che impone a ciascun paese aderente il famoso vincolo del deficit al 3%), segno che il continuo incremento del costo per gli interessi rese inutili gli sforzi fatti per contenere la spesa pubblica.


Il grafico seguente, infine, mostra il rapporto tra costo per gli interessi sul bilancio pubblico e PIL, e mette in evidenza l'aumento di questa voce di spesa nel periodo immediatamente successivo al Divorzio, fino al 1992.


In conclusione, possiamo affermare che la causa principale dell'aumento del debito pubblico negli anni ottanta fu il cosiddetto Divorzio e il conseguente incremento dei tassi d'interesse. Tuttavia è bene ricordare che, come precedentemente illustrato (qui), questo non ha niente a che fare con la crisi che l'Italia sta vivendo in questi anni.

3 commenti:

  1. Bel post. Lo farò leggere a quel PDno di mio suocero, per cui il debito pubblico fu tutta colpa di Craxi, ovviamente...

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    1. si trattava dei Governi CAF, Craxi-Anreotti-Forlani (1981-1992)

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  2. Ti ringrazio per la tua attenzione e, anticipatamente, anche per quella di tuo suocero che, ovviamente, è il benvenuto anche se è PDno
    :)

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